giovedì 23 giugno 2011

Perché Alice... parte seconda

Situazione:
ore 2 e 40 antimeridiane; sarebbe a dire le due e passa di notte:
Di ritorno da un reading di poesie di Jodorovskj - forse c'è chi lo ricorda per aver sentito qualcuno urlare nella notte "La montagna sacra è una cagata pazzesca!!!" -, cui fa seguito pasto luculliano e diverse birre.
Il mattino di ieri era stato dedicato a uno dei pochi esami mancanti per la mia uscita dall'università, esame del quale attendevo di sapere se avevo passato lo scritto.

Ci siamo fin qua...?
Bene.

Dicevo, ore due e quaranta di notte apro la cartella online dei risultati degli esami scritti: porca miseria sono già usciti. La data dello scritto è quella di ieri, c'è il nome del prof, c'è il mio cognome con scritto a fianco che devo presentarmi stamattina alle 9 per l'orale.
Alle 9?? Guardo l'orologio. Tra 6 ore.

"Poche paranoie", mi dico. "Metti la sveglia alle 6, ripeti tutto, alle 9 vai lì e ti togli questo esame dalle palle."
Dopo 3 ore di sonno mi metto in cucina con un caffè doppio, ripeto tutto, vado in aula, rispondo all'appello.
Dopo 45 minuti chiama il mio cognome e il nome di un'altra.
Rimango per un attimo basita e confusa.
Chiama di nuovo: "B. Irene. C'è B. Irene?"
Dico: "Scusi, io sarei B. A. Ho fatto ieri lo scritto di civile 2."
"Alice nel paese delle meraviglie (testuali parole, eh!), questo è civile 1. Io il suo compito non l'ho ancora corretto."
O____O'  "No, ma scherza?"
"Signorina, non scherzo. Torni pure a dormire. C'è B. Irene?"
B. Irene non c'è.

Morale: quando guardate gli esiti di un esame alle 2 e 40, prima di prendere iniziative compulsive e coraggiose, assicuratevi di leggere i numeretti scritti in piccolo.
E al caro prof.: per favore, metta i fottuti nomi nelle liste, così nel caso sia brilla, assonnata e/o incapace di leggere il numeretto, almeno so benissimo come mi chiamo.

p.s.: dopo due caffè doppi, col cavolo che adesso riuscirò a dormire!!!

mercoledì 15 giugno 2011

Giullare

TRATTO DA: "Il Labirinto degli Specchi", ed. Morellini

Un inizio. Punti il sicuro, vince la sorte.

La notte ha un cuore. 
Un respiro. 
Un profumo che avvolge i sensi. 
Tu che lo sai la guardi, sorridi alle stelle. 
Annusi la luna. 
Assapori golosa l'odore della pelle fresca di primavera.
Assapori chilometri all'ora di vento pallido.
Il tuo sospiro è l'Eden, il tuo languore una stella. 
Tu che lo sai, aspiri morte ed espiri vita. 
Un attimo eterno, un singhiozzo che ha un eco, 
un sangue dal ritmo cadenzato ed insondabile. 
Un istante è un mistero. 
Una maschera è un gioco. 
Una scelta è una puntata al casinò. 
Colore o numero? 
Sicurezza o sorte? 
Alcuni puntano il sicuro. 
Vince la sorte. 
Trionfa l'ideale dato per sconfitto. 
L'azzardo a volte...l'azzardo vince premi grandiosi. 
E mentre alcuni rimpiangono la puntata mancata, 
scivolano passi sconosciuti nel cuore della sera.
Capogiro. Fremito. Fermate il mondo.
No, non è niente…solo un soffio di vento, passa in fretta sapete. 
Non è nulla.
Non è nulla, non è nulla…continuate a camminare, 
sguardo basso, sfollate, sfollate, 
senza mai guardarvi negli occhi 
per paura che siano specchi.
Incontrerete giullari sulla vostra strada, simili a me. 
Incontrerete maschere che si credono attori 
e attori che indossano una maschera 
per confondersi tra la folla 
con la scusa della notte. 
Forse, incontrerete anche me…
il giullare, il pazzo, il folle, 
che crede d’essere tutti voi e non è nessuno. 
Quest’ombra senza volto, questo volto perfetto, 
uomo o donna difficile dirlo, 
giovane o vecchio non sapreste indovinarlo. 
Troverete che vi amo e vi odio indistintamente 
e poco importa, 
troverete ragionevoli le mie azioni più folli e pazze quelle più studiate. 

Capire è insensato, non c’è nulla da capire sapete. 
Solo il volto del sole con infiniti occhi, infiniti pensieri, 
simili eppure diversi. 
Antichi eroi di epoche remote travestiti da uomini di questo tempo. 
Questo tempo come tutti gli altri, che nulla è cambiato e sono tutte fandonie, 
sono cambiate le dimore e i luoghi di lavoro, 
e la vita si svolge identica a se stessa: 
ognuno inventa la sua sorte, ognuno può diventare una cometa, 
ognuno cerca impossibili stabilità in equilibri precari, 
convinto che sarà la volta buona.

Questo giullare non vede più differenza tra passato e presente, 
tra sé e gli altri, vede solo la luce e l'ombra dei pensieri e delle azioni, 
ma ha smesso di condannare o di assolvere. 
Vive ogni istante come fosse l'ultimo, 
con la  sola meraviglia di sapere che la vita terrena 
è un alleato nel gioco dell'universo.
Sul filo di un rasoio gioca a fingere di cadere, 
come i migliori equilibristi, 
prima di stupirvi con infinite capriole sospeso.
Brivido della folla.
E lui….e lei….
….cammina….salta….cammina….
Ride.

Notte metropolitana. Osservo intorno. 
Sottile competizione in cui la preda perde importanza. 
Tensione nell'aria. Arrampicatrici sociali, 
saette nello sguardo e voglia d’apparire migliori. 
Uomini impomatati lanciano fischi, fieri del loro vestito. 
Illusioni nel buio. Miraggi nel deserto.
Passo oltre.
Notte metropolitana. 
Camminando sola e tranquilla nel cuore della notte 
assaporo chilometri all’ora di vento pallido, 
sospesa sulla soglia del tempo. 
Brilla il mondo nella mia mano, 
sorridono languide le stelle al mio sospiro, 
in un universo senza ombre in cui la vita fluisce ritmica 
e pulsa come sangue nelle vene. 

Danzano le foglie al suono del respiro, 
presagio d’estate nell’aria, il treno sta per partire. 
Questo istante presto sarà nel passato, 
come una favola da raccontare: 
al casinò ho puntato sul numero, non sul colore. 

Guardate dall’alto le luci che invitano al rischio, 
che impreziosiscono il corpo d’adrenalina.
La donna dal pallore lunare e lo sguardo assorto nel sole 
è al tavolo della roulette.
Segue per  quindici minuti le mosse del croupier, 
il movimento della sua mano, il modo in cui lancia la pallina. 
Crede d’essere lui, gli entra dentro in silenzio, 
attraverso la sua fronte imperlata di cocaina.
Sempre lo stesso gesto, la stessa potenza: 
la pallina scivola, atterra sulla ruota, 
nove giri interi, ancora un quarto di giro più tre caselle. 
Nove giri interi, ancora un quarto e tre caselle.
Si ferma sul 35 nero: il gioco è fatto.
La donna attende, l’espressione del croupier è attraversata da un’ombra.
Stavolta lancerà la pallina con meno forza.
Attende un turno.
Nove giri, ancora un quarto e due caselle.
Un esperto giocatore punta tutte le fisches sul nero, 
e ride della donna imperturbabile che con sicurezza 
punta ogni centesimo sul 28 rosso, 
senza muovere il sopracciglio vedendo sul tavolo 
ogni goccia di sudore della sua fronte, di lavoro per anni. 
Digressione in un discorso concitato, 
in cui l’esperto di fronte a me, luna macchiata di bianco, 
spiega la sicurezza del puntare sul colore, 
non si punta mai tutto sul numero, è la legge delle probabilità, 
tolga i suoi risparmi, non si faccia prendere dal turbine, signorina, 
la vedo già ubriaca costretta a farsi offrire da bere dai fortunati della serata.
Sorrido.
Adrenalina.
Ci guardiamo negli occhi un tempo infinito 
mentre la roulette gira come il ciclo della vita, 
mentre la pallina rotea inesorabile come se non dovesse mai fermarsi, 
trascinando pensieri cadenzati al suono metallico.
Nove giri, ancora un quarto e tre caselle.

“Ventotto. Rosso.” 
Annuncia alla fine il croupier a voce alta, 
nel suo smoking fuori dal tempo, 
nella sua pelle tesa da polvere bianca, 
nei suoi occhi spalancati d’esaltazione interiore e battiti accelerati.
Silenzio. Il gioco è fatto.
“Punti il sicuro. Vince la sorte.” 
sorride la donna al giocatore rimasto in mutande 
a chiedersi per chi…..
per cosa…..aveva giocato tutto sul sicuro.

Ed ora le note mi attraversano come neve su un torrente 
e si sciolgono nel battito di un cuore che trascina il mio corpo alla vita 
secondo dopo secondo.
Tum, tum.
Sangue circola ambiguo 
nel suo doppio senso inventato dal dio geniale.
Tum, tum.
L’aria è limpida come un lago setoso 
e tutto suona una melodia trasportata dalle correnti.
Tum, tum.
Oggi ho abbracciato a lungo mia madre 
e ho visto il suo sguardo accendersi d’amore fino alle lacrime. 
Amore resuscitato.

Cantastorie notturno sull’orlo dell’abisso.
Passi fragili come camelie.

Eterna adolescente è questa notte vergine da violentare, 
godendo del suo amore e del sospiro bagnato 
mentre si scopre donna.
Sfodero il fascino notturno solo per i suoi occhi, 
celandolo incontrando altri sguardi.
Non è per voi quest’ambrosia, sfollate, sfollate.
Bella per gli occhi del dio geniale.

Cammino e non guardo la strada: 
guardo il soffitto del mondo riempito di stelle da mani sapienti, 
gioco a rincorrere sogni ormai spenti 
come se tutto avesse importanza.
Dove si nasconde il mondo?
Strano a dirsi, sembra solo un sogno.

Burattinaio, alza il sipario.
Mostrami chi sono stata prima d’essere un giglio notturno.

Riflessi nel manto scuro brillano, allucinazioni, 
piccoli diamanti danzano nell’etere visibile.
Così iniziò tutto:
Ricordi lontani di figlia del vento. 
Quercia dalle foglie rosse facilmente scalabile per vedere oltre la siepe.
In trappola dentro un recinto come i maiali. 
Desiderio di chilometri di distanza. 
Struggente bisogno di fuga. 
Stabilità precaria. 
Equilibrio inesistente. 
Limitazione di movimento.
Così iniziò tutto.

Allontanati da qui.
Non posso andar via.
Allontanati da qui.
Non posso andar via.
Allontanati da qui.
Non posso andar via.

Riflesse nel manto scuro, allucinazioni: piccoli diamanti nell’etere visibile.
Una mattina come tutte le altre, uscii di casa per andare dove sempre.
Qualcosa di profondamente commovente: 
una figura scura, animale in gabbia che a testa bassa si reca in un’altra, 
senza protestare se non nello sguardo.
Contai i passi fino a quarantanove.
Mi fermai, contai l’assenza di movimento fino a quarantanove.
Mi girai, tornai indietro ed aprii la porta di casa.
Perfezione del ricordo.
Presi tutte le cose che sarei riuscita a trasportare.
Era il 17 gennaio.
Molti anni fa.
Diversi tentativi già falliti. 
Stupida vigliacca. 
Speravi fosse la volta buona, l’hai sperato con tutta te stessa.
Alla rinfusa buttai gonne, pantaloni, gioielli, quaderni, maglie, giacche, scarpe, canottiere per l’estate, costumi da bagno, bambole di porcellana, ricordi, rabbia, dolore, coraggio, paura, sollievo.
Due valigie da 30 chili, tutti i miei averi.
Stracciai i ricordi per non avere nulla da rimpiangere, 
inventai un nome nuovo da portare addosso.
Battezzai me stessa in un caffè amaro.
Lo scrissi su un foglio che poi buttai via.
Nessun soldo in tasca se non per il biglietto di un treno 
che andasse più lontano possibile, non sapevo dove.
La sera prima un amico a 750 km di distanza aveva detto 
“se hai bisogno di un tetto sulla testa chiamami.”
750 chilometri, un tetto in mezzo alla foresta, sarebbero bastati.
Con chi, non aveva importanza. 
Sarebbe stato come esser sola.
“Mercato dell’oro, venderò i gioielli e qualunque cosa possa vendere, senza rubare nulla.”
“Non fare l’errore di lasciar qui le valigie mentre vai a vendere i gioielli.
Silenziosa come un’ombra, lascia questi muri imbiancati.”
Uno.
Due.
Tre.
Corri verso la dannatafottutissimaporta prima di cambiare idea.
Corri non ti fermare: chi si ferma è perduto.
Senza sforzo trascinai nella corsa 60 chili di valigie, 
verso la porta, verso una vita da inventare, 
da tessere con le mie mani, una vita in cui non sarei più stata la stessa: 
prima d’uscire scrollai le scarpe dalla polvere del passato, 
dall’immagine di me stessa, sull’uscio di casa mia. 

Richiusi la porta, ora solo una porta.
Speravamo tutti fosse la volta buona.
Lo speravamo con tutti noi stessi.
Non posso farci niente.
Devo andare.
Non chiedermi dove, ti farebbe solo male.

Lontano. Da. Qui.

Sorridendo senza rimpianti, 
annusai l’aria ghiacciata e non mi sorpresi di non sentire freddo.
Tutto era nuovo ed insondabile.
La mia prima partenza.
La mia prima nuova vita.
Perfezione del ricordo, sai, Grande Burattinaio.

Così iniziò tutto.

Ramingo sfrontato, attore dalle mille maschere, ricordo di mille volti.
Esistenze passate ricamano il presagio d’un avvenire impenetrabile.

Da quel momento il nome scritto sul foglio prima d’andarmene 
divenne il portafortuna della mia vita,
un segreto da tenere in tasca 
come una conchiglia regalata da un amante eterno.
Una piccola spirale scelta tra mille per la sua perfezione, 
madreperla che luccica all’interno, 
non è stata la prima a capitare in mano. 
E’ stata scelta pensandoti. Lo sai.

Ed ora l’aurora risorge, ancora una volta, come un cigno azzurro a levante.
Non fu lunga la mia prima partenza, ne seguirono altre. Poco dopo.
Sistemazione temporanea, lo sapevi, gli dissi.
Non vi parlerò ora di tutti i miei viaggi ma lo farò più avanti.
Prendetelo per quello che è.
Capitolo primo.
Così iniziò tutto.
Molti si divertono ad inventare parole fantasiose.
Prendetelo per quello che è.
Un inizio.

Un giullare.
Cantastorie sull’abisso notturno.
Passi fragili come camelie.
La donna dal pallore lunare
E lo sguardo assorto nel sole.
Punti il sicuro, vince la sorte.
La ragazzina con un nuovo nome.
Battezzò se stessa in un caffè amaro.
Lo scrisse su un foglio che poi buttò via.
Un inizio.

sabato 11 giugno 2011

perdere la forma

Sulla linea d'orizzonte mi tengo in equilibrio, pregando i miei passi. Ognuno produce un'eco. Ognuno lascia una traccia. Mi troveranno dopo una corsa a perdifiato, mentre disegno con le dita il profilo delle montagne.
Non c'è una nuova destinazione.
Mi chiederanno cosa faccio e perché siedo lì. Risponderò che disegno montagne. Qualcuno offrirà cibo e un alloggio, forse con insistenza. E dall'insistenza comprenderò che non è altro che un fantasma.
Terrò per me il sapore del fuoco e il grido della tempesta che si avvicina.
In silenzio guarderò i lampi rispondere al richiamo, e il merlo sul tetto ripetere il suono della mia voce.

martedì 7 giugno 2011

il simile attrae il simile

Il simile attrae il simile come un fato ineluttabile; piogge magnetiche tessono un incanto così saldo da aver voglia di morire se il simile ci viene tolto. Da aver voglia di correre per miglia dal terrore ogni volta che, opponendosi, si cede il passo alla ragione.
Ho imparato che non sempre il simile è comodo, eppure conforta l'anima.
Terrore nell'abbandonarsi e beatitudine nell'abbandonarsi.
Il simile attrae il simile: è un abisso confrontato a povere strade di cemento.

venerdì 3 giugno 2011

ultima danza


Il mio spirito conosce
le ombre della notte,
gli spazi vuoti tra le foglie
e il mio corpo ricorda
la ruvidezza del legno,
il tocco gentile della pioggia sui rami.

Sono stata questo vento
e ho vagato, correndo, sulla spuma dei grandi mari.
Ho riposato sulla linea delle colline
e portato il richiamo di uccelli sperduti.
Ho giocato con le loro ali.

Sono stata la tenebra
e ho ammantato di buio ogni cosa col mio tocco,
ho creato ombre scure e sinistre nel folto del bosco,
nascondendo la mia esistenza.

Così i giorni continueranno a susseguirsi,
gli uomini a nascere e morire,
la vita a fluire silenziosa.
Il mio spirito aleggerà
nei vortici d’acqua
e in carezze di vento
canterò la canzone di sempre,
quando la foglia rossa fino al suolo
si esibirà nell’ultima danza.