martedì 19 luglio 2011

il custode del tempo- parte 2


L’ultimo giorno.

I millenni scivolarono. Il custode cambiò pelle innumerevoli volte. Trasferiva il suo spirito da un corpo all’altro, rinnovando la sua giovinezza. E poco a poco, il corpo ospite prendeva le sembianze inconfondibili del suo sguardo senza tempo, del suo passo senza fretta.

Il cielo d'aprile appariva, all'occhio attento, un singulto di sole nel vento ancora freddo. Le braccia delle donne erano impazientemente nude. Camminavano svelti, i brav’uomini di ritorno dal lavoro; le coppie sottobraccio affollavano i portici. Ogni tanto, una moneta da due soldi tintinnava nella scodella accuratamente dipinta di un pittore di strada.
Dipingeva con la grazia di chi ha tempo infinito - fissando a tratti un punto imprecisato - sempre lo stesso uomo: una figura stretta in un mantello nero, con un cappello calato sugli occhi. Solamente un quadro mostrava lo sguardo di quell’uomo sul fondo di una notte stellata: vivo, bruciante, infinitamente profondo. Su quella tela era posto un cartello chiaro con una scritta blu: "NON IN VENDITA".
Una ragazza lo avvicinò, dai lunghi capelli scuri, serena, ma in fondo piena di una profonda, viscerale vita celata nell’abisso degli occhi color giada. Fingeva di guardare i quadri con attenzione, ma tra una pennellata e l'altra scrutava lui, il pittore di strada.
“Conosci quest'uomo?” gli chiese all'improvviso.
L’artista strinse il pennello, staccandolo bruscamente dalla tela. Alzò cautamente gli occhi, come chi si svegli da un sogno per catapultarsi in un altro. Con sguardo teso scrutò la ragazza.
No, non sembrava la persona che da tempo aspettava. Troppo ben vestita, troppo giovane.
Insinuandosi nel profondo di se stesso, il pittore fissò senza aspettativa gli occhi di lei.
In un lampo, la sua mente gli bisbigliò ciò che intendeva sapere: è lei.
“L'ho conosciuto” rispose allora “molto tempo fa.”
“Molto tempo fa…” ripeté lei. “Allora tu forse sai... dove posso trovarlo...”
Il pittore tacque. Le sue mani intrisero nuovamente il pennello nel colore, dando forma sulla tela ad un cielo plumbeo. La ragazza mise nervosamente le mani nella borsetta, frugò per qualche istante e ne estrasse infine il portamonete.
“Posso comprarti due quadri, se vuoi.” L'uomo non rispose, né alzò gli occhi dalla tela. “Devo sapere dove si trova.”, insisté la donna.
In un lampo, l'uomo fulminò la ragazza, senza muovere un muscolo: 
“Tu non sai di cosa stai parlando. Ora vattene. Non voglio i tuoi soldi... né il tuo corpo, se è questo che hai intenzione di offrirmi.”
Nulla pareva essere accaduto per i passanti eppure la donna arrossì violentemente, guardando l’asfalto sotto i suoi piedi. La furia la pervase, ma la dominò rilasciando dolcezza nelle vene.
Rimase ancora qualche secondo a fissare i quadri, cercando inutilmente un pretesto per andarsene o per restare. Lo sguardo di quel dipinto era ciò che cercava da un tempo infinito. Forse, si era lasciata trasportare dall’immaginazione… ma amava profondamente quel pittore di strada. E in un lampo, la mente le disse ciò che voleva sapere: è lui.
E in un lampo il caleidoscopio si animò. L’eterno gioco ebbe inizio, sul filo del rasoio delle possibilità.
La donna scivolò col vento lungo la via, senza riuscire a confondersi tra la folla. Si allontanò di un centinaio di passi, sentendo gli occhi del pittore perforarle la schiena, poi entrò in una bottiglieria in fondo alla strada.
Il pennello, inesorabile, accuratamente evocava uno sfondo identico agli altri: sfumature larghe, orizzontali ed annacquate, distese ed inquiete come uno squarcio di tempesta in una notte senza fine. Quando la luce del giorno fece spazio all'ocra ovattata del tramonto, il pittore raccolse lentamente, pazientemente, una ad una le sue tele, le avvolse in una consunta cartella di cartone legata da un grosso spago, chiuse la valigetta e si avviò alla solita taverna in fondo alla strada. Lasciva e rassegnata, la porta troppo oliata si fece aprire senza sforzo. L’artista scivolò dentro, sul tavolo in fondo alla sala con l'illuminazione più tenue, di lampade ad olio. Un uomo dal grembiule bianco a tratti intriso di vino gli servì una bottiglia di rosso senza etichetta ed un bicchiere largo e basso, di vetro grosso.
Solo allora, alzando gli occhi per fare un cenno abituale di ringraziamento, il pittore si accorse che il tavolo di fianco era occupato da una giovane donna che lo fissava. Sembrava la stessa ragazza che gli aveva offerto dei soldi quel pomeriggio, ma non poteva esserne certo: sembrava più adulta, più donna, più consapevole. Maledettamente consapevole.
Il suo sguardo aveva qualcosa di felino, come un leopardo acquattato che prepari un agguato. Forse era la luce soffusa delle lampade ad olio a giocar strani scherzi. Forse non era lei.
La donna si alzò dalla panca di legno su cui sedeva e si spostò di fronte a lui, prendendo posto su una sedia robusta.
“Non le chiederò se posso sedermi” esordì accavallando le gambe e mescendosi del vino. “D'altronde lei è solo, dico bene?”
“Faccia come crede” rispose lui “Aspetto qualcuno.”
La donna si sporse sul tavolo, cercando il suo sguardo in un sorriso sarcastico:
“Chi aspetta? La sua donna, forse?”
Un sorriso a denti stretti, malizioso, inondò di cinismo il viso del pittore.
“Lei sa chi sto aspettando. Forse, non immagina da quanto.”
Gocce di rubino inondavano le labbra, nel silenzio quasi teso di un'atmosfera rarefatta e surreale. Gli sguardi si penetrarono a vicenda come in un istantaneo amplesso sottile. Mani di perla accarezzavano il bordo del bicchiere e le labbra si schiusero in parole di velluto:
“Ti ho osservato... sì, i tuoi occhi assorti nel colore... le tue giornate scorrono conformi alla tua promessa, da tempo immemorabile... per quanto ancora la tua fede rimarrà intatta? Per quanto ancora aspetterai la nuova razza, perchè ti dia una seconda morte?”
No, il pittore non si stupì delle parole della donna. Non si stupì che conoscesse la sua storia né che i suoi occhi, in superficie candidi, rivelassero un abisso che all’inizio della sua esistenza l’aveva scrutato superando il velo del tempo. Gli occhi che di vita in vita aveva rammentato, senza mai scorgerli per la strada. Nulla più poteva stupirlo né toccare le corde superficiali dell'emozione che tormenta l'animo umano. Un’apparente freddezza lo pervadeva, lo attorniava, come una scorza di ghiaccio che per incanto riesca a celare una fiamma inesorabile, celata nel profondo.
“Un giorno, resuscitando dal mio sepolcro nella pantomima della morte, la vidi: aveva varcato la soglia dei mondi. Mi scrutava. Credetti a un sogno, ma cambiando pelle capii: la lotta eterna contro la morte aveva avuto inizio. Raccolsi l’umano sapere in attesa dell’ultimo giorno. Ma quale domanda lei volesse pormi, non lo seppi mai con certezza. Non ho mai avuto l’onore di rivedere il suo sguardo, ma l’attendo da sempre. Infinite vite ho passato su questa terra, chiamandola per nome. Ma lei non rispose mai.
No, non è fede la mia attesa. È necessità. Questo corpo vive da molto, vagando per celare la sua eterna giovinezza. Agisco nell’ombra e la sera attendo. Non mi è dato sapere in che forma lei verrà a liberarmi, ma riconoscerà l’Occhio del cielo nei miei dipinti. E mi farà quella domanda che da sempre attendo. Mi chiederà, come sempre, se persevererò nella speranza o se abbandonerò la terra.”
D’improvviso, lo sguardo della donna si svelò. Quella superficie candida e morbida come il velluto si denudò in uno strapiombo di fiamma infinita, senza appigli, senza fine.
“Eccomi.”, disse soltanto lei. “E dunque, qual è la tua risposta?”
“Quella di sempre.”
La donna rise e versò altro vino.
“Pur sempre umano rimani: colmo di testardaggine che ti ostini a chiamare speranza. Per quanto ancora, custode, ripeterai tu stesso gli stessi gesti, come un criceto in gabbia?”
La visione davanti allo sguardo dell’artista di strada cadde in mille pezzi, i muri si sgretolarono come vecchi cocci scagliati nel nulla.
Per quanto ancora?
“Non è possibile. L’uomo deve essere salvato da una vita da lupo selvaggio, senza alcun sapere.”
La donna rise.
“E chi credi che possa porre fine all’eterno ritorno, custode? Chi credi possa cambiare un tassello del mosaico?”
L’uomo tacque. Bevve un sorso di vino. In silenzio finirono l’intera bottiglia. Mani nelle mani, intrecciati come colli reclini di cigni. Un istante senza tempo prima che cali il sipario. Un sorso ancora. Un respiro ancora. Ancora amore mentre si spezza il filo del mondo. In bilico sulla stretta lama del tempo come vecchi amanti: pur sempre umani.
In un plumbeo silenzio, lui si alzò. La donna attese qualche secondo ancora, poi oltrepassò la soglia della taverna per sprofondare nell’ombra notturna. I due si allontanarono nella notte senza strade e al pittore bastò guardare un solo istante la città di carta che franava per capire che non doveva lasciare traccia del suo passaggio. Bruciò le sue tele, i pennelli, i colori, bruciò ogni traccia di sé.
L’uomo non le chiese se aveva paura della morte.
Nessuno si accorse della loro scomparsa, ancora una volta nessuno pianse la loro partenza.
L’indomani le braccia nude delle donne, gli sguardi bassi dei brav’uomini che tornavano dal lavoro, i portici invasi dalle coppie sottobraccio, non si avvidero che l’artista di strada che vegliava su di loro da tempo immemorabile aveva spezzato le sue catene.
Silenzioso come un’ombra, senza lasciare traccia, dissolse il suo corpo e fu libero.
Il cerchio dell’eterno ritorno fu spezzato.
Ameranno e soffriranno, i figli di nessuno: lupi, belve, santi o eroi.
Pur sempre umani.
Stavolta liberi.
Ed essi sapranno che il futuro è nelle loro mani.

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