sabato 2 luglio 2011

Il custode del tempo

Che accadrebbe se un giorno o una notte,
 un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini
e ti dicesse:
“Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta,
dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte”?

Nietzsche, La gaia scienza

Nessuno si ricorderà di noi quando il fiume del tempo avrà spazzato via ogni traccia di ciò che fummo. Non vi saranno leggende, crolleranno i palazzi, i dati dei nostri computer scompariranno con loro. I nostri fogli subiranno la furia del tempo, delle tempeste. Nessuno rammenterà questo tempo perduto nell’etere quando non vi saranno più fili. Così, ancora una volta, dimenticheremo.
In una stanza fuori dal tempo uno solo attenderà. Altri passeranno, arriveranno, chiederanno, tenteranno. Moriranno come ombre.
Solitudine. Silenzio. Buio. Forse pazzia. Una strana forma di silenzio coglierà la sua mente. Pregno e saturo da non poterne uscire. Fuggirà la folla e quando Babilonia la Grande cadrà sarà lontano. Isolato. Con tutto ciò che il tempo, la sua mente e il suo cuore gli permisero di comprendere. Con tutto ciò che il tempo avrà fatto di lui e il suo ingegno gli avrà permesso di realizzare.
Non conoscerà i nomi dei sopravvissuti. Baderà soltanto a restare in vita e custodire il suo tesoro: la sapienza dell’umanità. In una estenuante lotta contro la morte.
Un giorno, qualcuno giungerà alla stanza fuori dal tempo: vestito semplicemente, arretrato. Occhi spalancati e innocenti, più simili a quelli d’un animale che a quelli di un uomo. Coperto soltanto di una pelle animale, sporco e dalla barba appena accennata per via della giovane età. Specchio della nuova umanità di cui è parte. Un’umanità giovane eppure antica quanto la Terra stessa.
Il mondo sarà cambiato, nel frattempo.
Specie animali si saranno estinte e i ghiacciai avranno cambiato forma, i continenti avranno disegnato nuove linee di confine. In questo nuovo e antico scenario nient’altro che un pastore varcherà la soglia in cui il custode preservò il fuoco di Prometeo.
E la storia si ripeterà.
Ancora una volta, il pastorello sgranerà gli occhi nel sentire in una lingua incomprensibile e non sua: “Ti aspettavo.”
Il vecchio custode, non capito, parlerà allora alla mente del giovane che, terrorizzato ma rapito dalla mano del destino, non potrà fuggire e ascolterà.
Non potrà fuggire, rapito da un ineluttabile destino.
Vedrà davanti ai suoi occhi un uomo di un’età cui nessuno della tribù sarebbe mai giunto, e lo crederà immortale. Vedrà nella sua postura e nei suoi vestiti una razza superiore. Il custode mostrerà ciò che anni di silenzio gli avranno permesso di serbare.
Il giovane trasalirà come si trovasse dinanzi a un Dio nel vedere ciò che il vecchio custodiva: il fuoco. Il metallo. L’agricoltura. La magia.
Non tornerà dai suoi che dopo molto tempo, dopo aver imparato tutto ciò che il tempo e la sua ragione gli avrebbero permesso di comprendere. Si parlerà di lui come di una leggenda vivente, un prescelto dagli Dei. Sarà chiamato Anzty, Osiride, Prometeo, Lucifero, Azazel, e gli uomini gli daranno ascolto perché mostrerà loro i prodigi della scienza umana. Essi coltiveranno i campi e andranno a caccia con arco e frecce. Si scalderanno nelle notti d’inverno davanti al fuoco. Il giovane prenderà qualcuno con sé e lo istruirà su ciò che non è indispensabile alla sopravvivenza, ma che dovrà essere tramandato. Affiderà il compito che fu suo e metterà le radici di ciò che in futuro si chiamerà religione.
Faranno tutto ciò senza sapere che così è sempre stato. E sarà sempre.
Nessuno saprà che un mondo, molto tempo prima che venisse l’oblio dal quale essi nacquero, era esistito. Non sapranno che un mondo esisterà di nuovo e che la loro giustizia e la loro ingiustizia lo forgeranno.
Non sapranno della catastrofe, della ribellione delle forze sotterranee che passo dopo passo distrussero la terra costringendo gli uomini ad ammassarsi gli uni sugli altri, lentamente, mentre la pazzia dilagava ed essi si uccidevano a vicenda o sopravvivevano nel terrore animale, ridotti a vagabondare in cerca di cibo, dimenticando gli alti palazzi, il lusso, la cultura e l’arte per la necessità di sopravvivere.
Essi non sapranno.
Scopriranno di nuovo il linguaggio. Scopriranno nuovamente l’arte e la pittura. Le anime già vissute si incarneranno nuovamente e istintivamente ricorderanno quale fu il loro posto. Tutto accadrà di nuovo. Ci saranno nuovi geni e rifioriranno arti, scienze e religioni. Gli Dei saranno risvegliati e le leggende resusciteranno.
Ed essi non coglieranno la sensazione d’aver già visto, già vissuto.
L’ignoreranno.
Cercheranno il piacere, il lusso, il divertimento, l’amore, il sesso, la sazietà. Correranno, lavoreranno, si faranno la guerra, evolveranno. Forse faranno scelte diverse e il nuovo mondo sarà differente dal primo. Forse stavolta sarà migliore.
È questo che spera l’uomo nella stanza fuori dal tempo: di epoca in epoca, di apocalisse in apocalisse, istintivamente il guardiano incarnandosi riprende il suo posto nell’antico sarcofago, e ancora una volta inizia la lotta contro la morte, per conservare. Per tramandare ciò che orecchi umani dimenticheranno. La peggiore maledizione degli uomini è che essi dimenticano.
Il custode che attraverso i roghi dell’Inquisizione, attraverso le persecuzioni dei martiri, attraverso la derisione degli scienziati e le grida dei Voltaire, tace e conserva l’unica chiave per uscire dal labirinto e per civilizzare la nuova umanità, in attesa che essa si liberi dal giogo della sua stessa fascinazione e faccia del mondo quel Paradiso che cerca nei sogni dell’aldilà, e che millennio dopo millennio diventa sempre più impossibile far vivere, mentre le ingiustizie mettono radici e formano le membra del Golem implacabile. Il Golem che la distruggerà, dando inizio a un nuovo ciclo. Così nasce l’ineluttabile morte dell’umanità: la giustizia e l’ingiustizia decretano la fine o l’estasi eterna.
Nessuno, di apocalisse in apocalisse, ha mai conosciuto il nome del custode. Non ci sono leggende su di lui, sulla sua personalità. Qualcuno a volte bisbiglia di un Errante dai poteri meravigliosi. Qualcuno a volte parla di un grande segreto. Egli non è che un uomo che ricorda, l’ultimo di una lunga stirpe d’eroi nascosti che attraverso le epoche tramandarono la Scienza del bene e del male per lasciarla nelle mani dell’uomo nuovo, nel momento del bisogno.
Perché il mondo sarebbe nelle mani dei lupi se anche in una sola Era mancasse la speranza in un risveglio della coscienza umana.
Il Cherub fiammeggiante ancora attende, alle soglie del tempo, ai cancelli del sogno, che quel custode s’arrenda o perseveri nella sua follia. Che si lasci morire nella sua pace invece di attendere pazientemente - sfidando la Falce - il pastore a cui affidare i doni per la nuova umanità, pur sapendo cosa ne aveva fatto la precedente. E cosa continuerà a farne.
Il Cherub attende che il custode dichiari l’umanità senza speranza e l’abbandoni, o pronta a ricevere il suo Eden e, con questa speranza, l’aiuti. Attende di sapere se il suo cuore si arrenderà o farà iniziare un nuovo ciclo, con una speranza che mai muore.
Ed essi non sapranno che il futuro è nelle loro mani.

2 commenti:

  1. che angoscia... questo scritto mette in luce l'inutilità della vita. E' per questo che bisogna vedere la vita come fine a se stessa... al diavolo i posteri!

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  2. Spero allora che la seconda parte ti aggradi di più... ;)
    a breve su questi schermi.

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