venerdì 4 marzo 2011

Il dominio e il diritto

Tucidide ci narra di una legge cui si appellarono gli ateniesi nel conquistare una colonia di Sparta: essi obbligarono i vinti ad arrendersi e cedere le loro terre per avere salva la vita. Questi rispondono che si può vivere in pace senza minacce, ma gli ateniesi così replicano: c'è una legge che si conserverà per sempre, ed è il diritto del più forte di appropriarsi dei territori altrui e imporre la propria cultura. Questa legge non l'abbiamo inventata noi, l'abbiamo ereditata e sappiamo bene che voi, se foste al posto nostro, vi comportereste allo stesso modo.

Regula, rex, religio, derivano dalla stessa radice indoeuropea ri, che ha la funzione di raggruppare, ma anche di delimitare.
Regula era la squadra con cui si tracciava il solco sul terreno per delimitare la proprietà, e la stessa funzione hanno le regole che delimitano i comportamenti umani.
Quando Romolo pone le pietre di confine (centuriales lapides) per delimitare il quadrato della città, il fratello Remo le oltrepassa irridendo il confine, e viene ucciso. Qui  i giuristi del Digesto giustinianeo vedevano il nascere della sanzione: il confine era stato oltrepassato e questo suscitava una punizione.
Sulla stessa storia di Romolo e Remo, oltrettutto, ci sarebbe molto altro da dire, anche in relazione a un famoso libro (La Porta Ermetica) che è ambientato a Villa San Remo, e quel nome ha un significato specifico: Remo, per gli àuguri, sarebbe stati il legittimo re di Roma. Ma su questo, magari, tornerò un'altra volta.

E' molto strano vedere nel confine, nella separazione del "mio" dal "tuo", l'inizio della civiltà "giuridica". E' un atto di appropriazione e divisione che sta alla base del nostro diritto patrimoniale più prezioso, la proprietà. Questi stessi confini, che inizialmente delimitavano la terra di proprietà del'individuo, la terra che egli coltivava col proprio lavoro (secondo Locke, infatti, era il lavoro a fondare il diritto di proprietà: tanta terra lavora un uomo, tanta terra è sua), sembrano non avere però una funzione strettamente agricola: il fondamento dei confini è il proprio diritto di difenderli.
Ecco quindi che questi confini poco a poco si allargano, diventano città, diventano regiones, diventano fulcri di una mentalità comune degli "intranei", cui vengono contrapposti gli "estranei", gli stranieri, confini all'interno dei quali la cultura si specializza e nasce un senso di identità comune, di appartenenza alla res communis, che col tempo diventerà la res publica.

Cicerone, nel 44 a.C., proporrà una svolta nel modo di intendere il diritto: il diritto di appropriazione, delimitazione dei confini, dominio e difesa, doveva lasciare il passo a un altro paradigma: la societas. Gli uomini, diceva Aristotele, fondano i loro rapporti sull'amicizia. Questa amicizia può essere dettata dalla virtù, e allora è amicizia autentica, oppure dall'utile, e allora è amicizia politica, quella stessa amicizia che secondo Cicerone sta alla base della civitas. L'interazione sociale deve quindi condurre gli uomini a comportarsi tra loro secondo buona fede (la fides), perché solo collaborando essi possono ricavare reciproci vantaggi e vivere pacificamente. Questa fides comprende due concetti: che ciò che è promesso venga compiuto e che l'impegno si traduca in azione, e che si interpretino le parole di ognuno non secondo la forma che assumono, ma secondo il senso che hanno. Insomma, in base al paradigma della fides l'onore che si può attribuire a un uomo sta nel valore che ha la sua parola. Se un rapporto non è sorretto dalla fides, siamo al di fuori delle regulae, al di fuori dei confini leciti dei comportamenti umani. Ed è curioso notare come oggi chi manca alla propria parola (in antichità sarebbe stato chiamato traditore) continui ad essere onorato dalla realtà sociale, come se tutto ciò avesse perso ogni importanza.

Il passaggio dal dominio alla buona fede è ancora in essere: per quanto le norme cerchino di costringere gli uomini a comportarsi secondo buona fede, in tempi recenti Fichte rilevò che il paradigma morale era fallito, ed era questo fallimento a giustificare le leggi e le sanzioni: "non si può chiedere a un uomo di essere onesto, tutt'al più gli si può chiedere di rispettare la legge". In poche parole, se gli uomini riuscissero a far vivere il concetto di fides non avrebbero nemmeno bisogno delle regole. Ma così non è mai stato, e probabilmente mai sarà.

15 commenti:

  1. Infatti, non penso si possa, anzi: credo che costringere qualcuno a fare il suo stesso bene sia uno dei modi più atroci per impedirglielo.
    Però si può fare molto se, invece di premiare chi riesce a guadagnare di più dagli altri, si riesce a premiare chi fa guadagnare di più a tutti ciò che vogliono.
    Anzi, data la complessità e l'impatto ambientale raggiunti dalle nostre società, è assolutamente necessario pensarci, trovare i modi migliori possibili e attuarli con tutte le nostre forze.

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  2. forse la verità è che siamo una manica di sfigati U_U

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  3. Sì, solo che così, con questo sistema, ci facciamo più male del necessario, oltre che meno bene.

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  4. e sarebbe da capire perché pare che ci si debba sempre fare del male, anche quando non ce n'è alcun bisogno. ;)

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  5. Perché si guadagna personalmente col "privato" che è privare gli altri: prendere dando meno che si può e dando in cambio del massimo cui si riesce. Siccome chiunque è sé per uno e altro per tutti, ci si fa male.
    La soluzione è premiarci in base al bene che si fa agli altri secondo loro, ma questa è solo una parte della soluzione, perché prima è necessario trovare il modo di esprimere davvero ciò che vogliamo e di capire come realizzarlo; solo allora possiamo premiare chi lo fa meglio, se accetta il premio, senza farci fregare da chi sa fingere e imbrogliare meglio.

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  6. sono schifosamente d'accordo efraim!

    Stavo anche pensando in questi mesi che spessissimo non è nemmeno un problema di ingratitudine ma proprio di un atteggiamento diffuso per cui si pensa che tutto sia dovuto. Di conseguenza, essendo dovuto, niente viene apprezzato né assaporato, e tantomeno si dà. Circolo vizioso si chiama.

    Ho deciso, nel corso del tempo, che avrei sempre fatto notare alle persone le loro buone qualità, che avrei ringraziato dei regali spontanei che ti danno. Che avrei dato senza pretendere, perché tanto non mi cambia la vita un grazie. Ma stranamente mi sono resa conto che a volte questo imbarazza o fa guardare con ancor più sospetto.

    Davvero non siamo più abituati? Davvero mercanteggiamo pure i sentimenti: io pretendo/ io ho diritto/ poi vediamo cosa posso darti in cambio, ho giusto una gomma masticata da buttare?

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  7. Sì. Davvero: non tutti e chi evita è più felice, ma cci vogliono consapevolezza e autonomia non comuni, perché il sistema premia i Berlusconi e i Corona, i dirigenti della TEPCO e di Wall Street... e la maggioranza è portata a accorparsi alla massa critica creata dagli opinion maker che individuano la propria convenienza nel sostenere un sistema sconveniente.
    Finché non troveremo il modo di incentivare e premiare chi fa il bene comune secondo ciascuno per davvero, saremo fregati. Secondo me c'è il modo, ma faccio fatica a trovare qualcuno interessato a considerarlo, figurarsi a rischiare di suo sbattendosi per realizzarlo anche se e quando capisce o gli pare di capire che la soluzione è giusta e può funzionare.

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  8. Mah, non provando invidia per i Berlusconi né per i Corona, non mi fa problema non essere premiata dal sistema: mica si può piacere a tutti! ;)

    Sul cambiare le cose non so, per me le persone non sono ancora pronte e in pochi non puoi farlo: la tv, un cinemino, due birrette, una bella scopata, sono cose che in fondo gli bastano, né si schiodano da lì. Mi accontento di migliorare quello che mi sta intorno. Faccio del mio meglio.

    Il tuo modo quale sarebbe?

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  9. Ho scritto un lungo libro per proporlo e sto approntando un sito dove è descritto (e "dimostrato") il meglio che posso. Sono felicissimo se qualcuno vuole leggere e considerare.

    Sinceramente neanch'io invidio i Berlusconi e, anche se mi reputo una brava persona, non anelo a fama e ricchezza.
    Penso però che la maggior parte della gente ci tenga al successo sociale e ne segua indicazioni e modelli anche se non ha successo. Per questo credo che finché avranno successo quelli che si affermano sugli altri invece che quelli che agli altri fanno meglio, non ci sarà una maturazione delle persone, che invece sarà possibile nel momento in cui il successo sociale sarà dato a quelli che fanno del loro meglio davvero. Penso anche che questo potrebbe anche comportare già una riduzione di tutti gli aspetti peggiori del successo esaltando invece quelli migliori, perché se per esempio hai più successo tu (o una brava persona competente e attenta al bene comune) della Gelmini, probabilmente tenderesti a adoperare meglio il tuo successo, a non abusarne e a non imbrogliare per accrescerlo. Paradossalmente, avresti di più perché pretendi di meno e questo sarebbe meglio anche per chi ti premia. Poi avresti due possibilità: o tenerti i premi meritati e non fare male a nessuno (altrimenti il successo verrebbe meno), o reinvestire i tuoi premi per il bene comune secondo tutti, cosa che trasformerebbe il premiarti in un premiare e offrire bellezza per tutti.
    Non sarebbe male, anche se c'è tutto lo spazio, per chi vuole, di farsi tutte le società assolutamente gratuite, del dono, o egualitarie che può desiderare.

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  10. meritocrazia insomma. Che è quella che ci auguriamo tutti.

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  11. Non proprio: se si fanno comandare i migliori, diventa presto aristocrazia - conoscerai l'etimologia, in questo caso rivelatrice assai - e dunque in casta. Premiare i migliori sì, ma non farli comandare.
    Secondo me l'unica è trovare un modo per far saltare fuori le scelte migliori a prescindere da chi le propone, magari premiando i primi che ci arrivano, quelli che ci puntano su, quelli che meglio fanno la loro parte nella realizzazione del bene comune che grazie a quelle scelte realizziamo, altrimenti possiamo stare sicuri che il governo dei migliori si trasformerà in un'altra gerarchia all'interno della quale ben presto non saranno i migliori a farsi più strada, ma quelli che più riescono ad affermarsi all'interno della nuova o vecchia gerarchia.
    Non per niente tutti dicono di volere la meritocrazia e poi, anche se si credono i migliori, in tutto il mondo comandano figure indegne: è impossibile.
    Quello che propongo, infatti, è un modo per riuscire a esprimere meglio la volontà e i valori di ciascuno, tanto da poterne dedurre le soluzioni socialmente migliori per tutti e per ciascuno con la sicurezza di scegliere le migliori possibili di volta in volta e senza affidarsi ad alcun comandante o decisore privilegiato.

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  12. mah. buona fortuna.
    Scusa l'acredine ma pensavo a qualcosa di più concreto.

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  13. Ci mancherebbe: capisco, ma non è che non è concreto: è un metodo, dunque concretizza.
    Con questo metodo si può fare tutto ciò che si fa insieme, ma meglio: dalle politiche energetiche a quelle per garantire diritti e opportunità, dal commercio alla cultura e a ogni tipo di produzione.
    Alcune proposte molto concrete sono presenti nel libro, come esempi, e altre vengono proposte nel sito. Una spero promettente e produttiva la sto provando a portare avanti, per come posso personalmente. Di più da solo non sono in grado di fare. Proprio questa è la ragione del libro e del sito: spero di trovare altri interessati al problema, che considerino le proposte e che, se gli paiono buone e capaci di superare ogni loro obiezione, decidano di costruire insieme (non come dico io, ma come è meglio per quello che vogliamo in comune) delle società sane, immuni dal cancro del potere, funzionanti bene al punto da potersi affermare facendosi preferire e attraendo gli investimenti di tutti perché più soddisfacenti in ogni senso per ognuno. Difficile, ma ritengo possibile per motivi dimostrabili a parole e nei fatti, se si fanno. Finora però ho trovato poca gente che abbia voluto leggere il libro - spero di più se riesco a pubblicarlo con una casa editrice media - e anche chi l'ha fatto e s'è detto convinto a parole, nei fatti non si è messo all'opera. Aspetta (o s'è aspettato) di poter aderire a queste società belle pronte e a quel punto si può sperare di trovare anche altra gente interessata, di fronte alle iniziative disponibili. Va benissimo. Ma prima c'è bisogno di costruirle, queste alternative, e da solo è molto difficile fare qualcosa del genere. Se non incontro qualcuno che non solo considera il problema e trova buona la soluzione proposta, ma si propone di realizzarla insieme, non ce la posso certamente fare. Intanto ci provo.

    Per cui scusami se, pur capendo io la tua acredine, spero che tu capisca che posso non sentirmene toccato, visto che faccio quello che posso per non darne motivo e posso pensare che valga la pena di coltivare il seme, finché penso che possa divenire albero in grado di produrre i frutti che vorresti trovare.
    Se non prima, magari ti potrà interessare quando la proposta sarà matura per darti prodotti migliori a prezzi inferiori, o altri servizi, opportunità, garanzie interessanti, senza acredine di sorta. Se trovo qualcuno con cui provare la bontà della proposta nei fatti, ritengo più che probabile riuscirci, altrimenti e nel frattempo non faccio del male a nessuno, mi pare. Neanche a fare la proposta, che spero proprio che a qualcuno possa interessare, visi i problemi del mondo, le loro ragioni e la mancanza di altre proposte organiche per risolverli il più possibile e sempre più alla radice.

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  14. dai dai su, non te la prendere, mica volevo offendere.

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  15. Non me la prendo né mi sono offeso, ma ci tengo parecchio, visto che per me è un tema di importanza fondamentale ma trascurata, per cui voglio che siano chiare le ragioni per cui mi sembra importante occuparsene e per cui ritengo giusto provarci come faccio. Nessun rancore, ci mancherebbe, e amici come prima. Anzi, grazie: ogni occasione per parlarne è come quella di lanciare un messaggio in una bottiglia e ti sei espressa in modo sensato e attinente.

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